17 Maggio, 1915

D'Annunzio contro i neutralisti

Davanti al Campidoglio sono radunate migliaia e migliaia di persone; a parlare è l’onnipresente D’Annunzio. «Fra le tante vigliaccherie, commesse dalla banda giolittesca, questa è la più laida: la denigrazione, per nove mesi, delle nostre armi. Costoro hanno potuto seminare la sfiducia, il disprezzo contro i nostri belli, giovani, impetuosi soldati, contro il fiore del popolo, contro gli eroi sicuri di domani».
Già, la vera domanda sta tutta qui: siamo davvero pronti per questa guerra? Dieci mesi fa non lo eravamo di sicuro, ma ora?
Incassati gli applausi, D’Annunzio prosegue il comizio e lancia un monito in vista della riapertura dei lavori parlamentari: «Il 20 maggio, nell’assemblea nazionale, non dev’essere tollerata la presenza imprudente di coloro che per mesi e mesi hanno tentato il baratto d’Italia. Non lasciate che questi pagliacci, camuffati con la coccarda tricolore, vengano a vociare con le loro bocche immonde».

 Ma i neutralisti non sono scomparsi all’improvviso. Molte città assistono a manifestazioni contrarie all’intervento, spesso promosse dai gruppi socialisti: a Torino viene proclamato uno sciopero generale, scoppiano tumulti, colpi di rivoltella e la giornata termina con svariati feriti e un morto.

Il 17 maggio quattro studi cinematografici francesi ottengono il permesso di filmare il fronte; difficile sapere se abbiano libero accesso ovunque, la censura e la propaganda reclamano spesso un tributo. Il quadro viene comunque dipinto dai giornali: «I dintorni di Ypres sono dei macelli, dei carnai fiammeggianti. […] Sembra che a Carency tutte le pietre siano insanguinate, tutti gli alberi gocciolino sangue»
Gli Alleati consolidano le posizioni vicino a Festubert, ma per i britannici le operazioni di supporto all’offensiva dell’Artois stanno declinando verso il mezzo disastro: enormi perdite per guadagni troppo moderati.

Sul fronte orientale gli austro-tedeschi superano anche il fiume San; le armate zariste sono alle corde, sofferenti e incapaci di reagire. Pietrogrado si consola come può: i russi vanno alla riscossa nelle regioni baltiche e continuano a ottenere qualche progresso dalla controffensiva nella Galizia orientale. Più semplice la situazione nel Caucaso: i turchi vengono sconfitti sul lago Van, Erciş cade in mani russe.

Davide Sartori

GLI AVVENIMENTI

Politica e società

  • Continuano in Italia le dimostrazioni interventiste. A Roma si tiene sul Campidoglio un imponente comizio, nel quale parla Gabriele D'Annunzio. In alcune città si svolgono anche manifestazioni neutraliste, come a Palermo e a Torino, inevitabili i tumulti, con parecchi feriti e un morto (Torino).
  • A Lisbona il presidente del nuovo Governo, formatosi in seguito ad un grave moto insurrezionale, è ucciso da un senatore, che a sua volta viene ucciso dai gendarmi.
  • Quattro imprese cinematografiche francesi sono autorizzate a riprendere al fronte.

Fronte occidentale

  • Battaglia di Festubert: posizioni consolidate.
  • Raid degli Zeppelin a Dunkerque e Ramsgate (Regno Unito).

Fronte orientale

  • Gli austro-tedeschi attraversano il San.

Fronte asiatico ed egiziano

  • I russi occupano Erciş, sul Lago di Van (Caucaso).

 

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Parole d'epoca

Gabriele D'Annunzio

Dalla ringhiera del Campidoglio

Romani, voi offriste ieri al mondo uno spettacolo sublime. Il vostro immenso ordinato corteo dava imagine delle antiche pompe che qui si formavano nel tempio del Dio Massimo e accompagnavano pel clivo capitolino le statue insigni collocate su i carri. Ogni via, dove tanta forza e tanta dignità passavano, era una Via Sacra. E voi accompagnavate, eretta sul carro invisibile, la statua ideale della nostra Gran Madre. 
Benedette le madri romane eh' io vidi ieri, nella processione dell'offerta solenne, portare su le braccia i loro figli! 
Benedette quelle che già mostravano su le loro fronti il coraggio devoto, la luce del sacrifizio silenzioso, il segno della dedizione a un amore più vasto che l'amore materno! 
Fu, veramente, un sublime spettacolo. 
Però la nostra vigilia non è finita. Non cessiamo di vegliare. Non ci lasciamo né illudere né sorprendere. Io vi dico che l'infesta banda non disarma. 


Ma non v'è più bisogno di parole incitatrici, giacché anche le pietre gridano, giacché il popolo di Roma per le lapidazioni necessarie era pronto a strappare le selci dai suoi selciati ove scalpitano i cavalli che, invece di esser già all'avanguardia su le vie romane dell'Istria, sono umiliati nell'onta di difendere i covi delle bestie malefiche, le case dei traditori il cui tanto male accumulato adipe trasuda la paura, la paura bestiale. 

Come dovevano essere afflitti i nostri giovani soldati! E di qual disciplina, di quale abnegazione davano essi prova, proteggendo contro la giusta ira popolare coloro che li denigrano, che li calunniano, che tentano di avvilirli davanti ai fratelli e davanti ai nemici! 

Gridiamo: «Viva l'esercito!» E il bel grido dell'ora. 

Fra le tante vigllaccherìe commesse dalla canaglia giolittesca, questa è la più laida: la denigrazione implacabile delle nostre armi, della difesa nazionale. Fino a ieri, costoro hanno potuto impunemente seminare la sfiducia, il sospetto, il disprezzo contro i nostri 

soldati, contro i belli, i buoni, i forti, i generosi, gli impetuosi nostri soldati, contro il fiore del popolo, contro i sicuri eroi di domani. 
Con che cuore inastavano essi le baionette a respìngere il popolo che non voleva se non vendicarli ! 

Per fraterna pietà della loro tristezza, per carità della loro umiliazione immeritata, non li costringiamo a troppo dure prove. Rinunziamo oggi a ogni violenza. Attendiamo. Facciamo ancóra una vigilia. 

L'altrieri, mentre uscivo dall'aver visitato il Presidente del Consiglio tuttavia in carica (rimasto in carica per la fortuna nostra, per la salute pubblica, a scorno dei lurchi e dei bonturi) quanta speranza, qual limpido ardore io lessi negli occhi dei giovani 

soldati a guardia! 

Un ufficiale imberbe, gentile e ardito come doveva essere Goffredo Mameli, si avanzò e in silenzio mi offerse due fiori e una foglia: una foglia verde, un fiore bianco, un fiore rosso. 

Mai gesto ebbe più di grazia, più di semplice grandezza. Il cuore mi balzò di gioia e di gratitudine. Io serberò quei fiori come il più prezioso dei pegni. Li serberò per me e per voi, per la poesia e per il popolo d' Italia. Verde, bianco e rosso ! Triplice splendore della primavera nostra! 

Agitate tutte le bandiere al vento, agitatele, e gridate: 

«Viva l'esercito!» 

«Viva l'esercito della più grande 

Italia!» 

«Viva l'esercito della liberazione!» 

In quest'ora, cinquantacinque anni fa, i Mille si partivano da Calatafimi espugnata ed eternata nei tempi dei 

tempi col loro sangue che oggi ribolle come quel dei Protomartiri; si partivano, ebri di bella morte, verso Palermo. 

Diceva l'ordine del giorno, letto alle compagnie garibaldine, prima della marcia: «Soldati della libertà italiana, con compagni come voi io posso tentare ogni cosa.» 

O miei compagni ammirabili, ogni buon cittadino è oggi un soldato della libertà italiana. E per voi e con voi abbiamo vinto. Con voi e per voi abbiamo sgominato i traditori. 

Udite, udite. 11 delitto di tradimento fu dichiarato, dimostrato, denunziato. 

I nomi infami sono conosciuti. La punizione è necessaria. 

Non vi lasciate illudere, non vi lasciate ingannare, non vi lasciate impietosire. Tal mandra non ha rimorsi, 

non ha pentimenti, non ha pudori. Chi potrà mai distogliere dal gusto e dall'abitudine del brago e del truogolo 

l'animale che vi si rivoltola e vi si sazia? 

Il 20 maggio, nell'assemblea solenne della nostra unità, non dev'essere tollerata la presenza impudente dì coloro che per mesi e mesi hanno trattato col nemico il baratto d' Italia. Non bisogna permettere che, pagliacci camuffati della casacca tricolore, vengano essi a vociare il santo nome con le loro strozze immonde. 

Fate la vostra lista di proscrizione, senza pietà. Voi ne avete il diritto, voi ne avete anzi il dovere civico. Chi ha salvato l'Italia, in questi giorni d'oscuramento, se non voi, se non il popolo schietto, se non il popolo profondo? 

Ricordatevene. Costoro non possono sottrarsi al castigo se non con la fuga. 

Ebbene, sì, lasciamoli fuggire. Questa è la sola indulgenza che ci sia lecita. 

Anche stamani taluno non era forse intento a rammendar le trame che il grosso ragno alemanno aveva osato intessere tra i freschi roseti pinciani d'una villa ornai destinata alla confisca? 

Noi non abbiamo creduto, neppure per un attimo, che un ministero formato dal signor Buelow potesse avere l'approvazione, dirò anzi la complicità del Re. 

Sarebbero piombati su la patria giorni assai più foschi di quelli che seguirono l'armistizio di Salasco. 

Il Re d' Italia ha riudito nel suo gran cuore l'ammonimento di Camillo Cavour: « L'ora suprema per la Monarchia sabauda è sonata. » 

SI, è sonata, nell'altissimo cielo, nel cielo che pende, o Romani, sul vostro Pantheon, che sta, o Romani, su questo eterno Campidoglio. 

Aprì alle nostre virtù le porte del domini futuri, gli cantò un poeta italiano quando egli, assunto dalla Morte, fu re nel Mare. 

Questo gli grida oggi non il poeta solitario ma l'intero popolo, consapevole e pronto. 

Romani, Italiani, spieghiamo tutte le nostre bandiere, vegliamo in fede, attendiamo in fermezza. 

Qui, dove la plebe tenne i suoi concilii nell'area, dove ogni ampliamento dell'Impero ebbe la sua consacrazione officiale, dove i consoli procedevano alla leva e al giuramento militare; qui d'onde ì magistrati partirono a capitanare gli eserciti, a dominare le province; qui, dove Germanico elevò presso il tempio della Fede i trofei delle sue vittorie su i Germani, dove Ottaviano trionfante confermò la sommessione dì tutto il bacino mediterraneo  a Roma, da questa mèta d'ogni trionfo, offriamo noi stessi alla Patria, celebriamo il sacrifizio volontario, prendiamo il presagio e l'augurio, gridiamo: 

«Viva la nostra guerra!» 

«Viva Roma! Vìva l'Italia!» 

« Vìva l'Esercito! » 

«Vìva l'Armata navale!» 

« Viva il Re! » 

«Gloria e vittoria!» 

A ogni evviva il popolo unanime risponde con una immensa acclama- zione, dalle scalinate, dalla piazza, dalle vie. Essendo recata su la ringhiera la spada di Nino Bixio, l'oratore la prende, là mostra al popolo, la snuda, e soggiunge : 

Questa spada di Nino Bixio «secondo dei Mille », primo fra tutti i combattenti sempre, questa bella spada che un donatore erede di prodi offre al 

Campidoglio, o Romani, è un pegno terribile. 

Vedetelo a cavallo, fuori di Porta San Pancrazio, il ferreo legionario dell'Assedio, che tiene abbrancato alla strozza il capitano nemico e lo trascina come preda in mezzo al suo battaglione, a gran voce intimando la resa, e solo, egli solo, fa prigionieri trecento uomini! 

Branca aquilina, anima battuta al conio de' vostri Orazii, temerità di corsale ligure uso all'abbordaggio e all'arrembaggio, nato eroe come si nasce principe: esemplare italiano agli Italiani che s'armano. 

Io m'ardisco di baciare per voi, su questa lama, ì nomi incisi delle vittorie. 

Una nuova immensa acclamazione sale nell'aria accesa dal tramonto. Il grido « Guerra ! Guerra !» supera ogni altro clamore. 

Sonate la Campana a stormo! Oggi il Campidoglio è vostro come quando il popolo se ne fece padrone, or è otto secoli, e v'instituì il suo parlamento. O 

Romani, è questo il vero parlamento. Qui oggi da voi si delibera e si bandisce la guerra. Sonate la Campana! 

Il tumulto cresce. Alcuni cittadini arditi riescono a penetrare nella torre e suonano a stormo. Tutto il popolo, sotto il rombo, acclama la guerra. 

 

 

 

Personaggi

Gabriele D'Annunzio

Un esteta raffinato, un individualista vizioso e un esaltato nazionalista; un’immortale abilità espressiva e un ego sconfinato, oceanico. In due parole: Gabriele D’Annunzio.

Sul finire del 1880 finge la sua morte per lanciare la seconda edizione di Primo vere. Scontato il successo dell’operazione. Tra l’apparire e l’essere meglio scegliere il primo.

Quando il ‘900 si avvia dall’infanzia all’adolescenza D’Annunzio è ancora l’equivalente di una moderna pop-star. E proprio come una vera pop-star si premura di essere sempre al centro della vita mondana, quasi un obbligo.

Per tutti è “il Vate”, un modello da seguire o idolatrare. Del resto chi non vorrebbe essere al suo posto? Talento, una vita sregolata e un’abbondante e disinvolta inclinazione verso i debiti e il gentil sesso. Già, i debiti. Nel 1910, indispettito dall’atmosfera nostrana, fa le valigie e s’impone un “esilio volontario” in Francia; in realtà fugge dai creditori, ma detta così non suona altrettanto bene. I maligni dicono che sia stata la monarchia a risolvere, almeno in parte, le questioni in sospeso.

Torna in Italia nel 1915, senza per altro aver mai smesso di esprimere la propria opinione. Interventista a oltranza, è soggiogato dalla guerra, ne è affascinato. Fosse per lui la vita sarebbe un continuo susseguirsi di avventure omeriche.

Nietzsche non l’ha lasciato indifferente, il “superomismo” è l’humus ideale per il suo spirito dionisiaco. Crede di appartenere a una ristretta élite, un’aristocrazia; disprezza il “popolino”, la “plebe” e gran parte dei suoi valori, democrazia compresa.

E’ convinto della supremazia culturale latina e percepisce il conflitto mondiale come la migliore opportunità di far rivivere il mito imperialista romano.

Ambizioso a prescindere, partecipa alla guerra con entusiasmo. Vuole essere un eroe e probabilmente si considera tale. Sarà protagonista di imprese appariscenti, seppur poco determinanti: tra le altre la “beffa di Buccari” e il volo su Vienna.

La fuoriclasse delle peripezie dannunziane resta l’occupazione di Fiume nel 1919: vano tentativo di sovvertire gli accordi di pace, di vendicare la “vittoria mutilata” e di restituire all’Italia la presunta integrità territoriale.

Come in una macchina del tempo, ogni giorno una nuova pagina del diario.
Le testimonianze, le immagini, i filmati negli archivi e nei giornali dell'epoca.

Sono nato a Roma nel dicembre del 1984, mi sono diplomato al liceo scientifico J.F. Kennedy e ho frequentato la facoltà di Scienze della Comunicazione all’università la Sapienza, ma non mi sono laureato.

I miei interessi? Un po’ di tutto, come molti trentaduenni. Lo sport, la politica, la Storia del ‘900. Niente di eccezionale.


Dal dicembre 2003 al marzo 2005, ho scritto per un giornale locale (Il Corriere Laziale), quindi ho fatto uno stage con una piccola televisione satellitare (Nessuno TV).
Nel 2011 la Graphofeel edizioni ha pubblicato il mio libro “Mens insana in corpore insano”, il racconto di una vacanza on the road da Roma a Capo nord.
Dall’agosto 2013 al gennaio 2014 ho ricominciato a scrivere di calcio quotidianamente, con articoli e pronostici sportivi sul sito http://www.scommessepro.com/
Da giugno 2014 racconto la Grande Guerra, giorno per giorno.

Davide Sartori