Austro-tedeschi entrati in stallo?
Il 6 luglio Calais ospita un tête-à-tête tra Gran Bretagna e Francia, tra i presenti anche Asquith, Millerand e Joffre. La discussione ruota attorno alla grande offensiva autunnale prevista sul fronte occidentale e su come coordinarsi con gli alleati. Il Generale Joffre non ha dubbi: l’Italia deve continuare a spingere sull’acceleratore, deve mettere pressione agli austro-tedeschi.
In Inghilterra prende la parola Lord Haldane, ex Segretario di Stato per la guerra britannico. In un comizio ricorda la sua missione a Berlino nel 1912: Germania e Gran Bretagna lavoravano a un’intesa, un’idea per scongiurare eventuali conflitti tra le due superpotenze europee. Non se ne fece nulla, ovvio, ma l’impressione portata a casa da Lord Haldane fu chiara: i tedeschi preparavano una guerra; ne era convinto.
Intanto a Berlino si cerca di sgonfiare la percezione del dissenso socialista. La Nord Deutsche Allgemeine Zeitung scrive: «Francia, Inghilterra e Russia non possono più sperare in un miglioramento della situazione militare, quindi la continuazione della guerra non ha più scopo».
Per il giornale sarebbe solo questo il movente dell’iniziativa pacifista dei socialisti tedeschi. Il manifesto però l’hanno letto tutti; questa sembra tanto un’arrampicata sugli specchi.
La Germania deve affrontare anche un altro problema, di questi tempi ben più grave: da quando ha lanciato i volantini su Varsavia, profetizzandone la caduta, l’esercito austro-tedesco è entrato in stallo. Intorno a Kraśnik i russi si battono come leoni, catturando circa 15.000 prigionieri.
In America il capitolo Eric Muenter sembra chiuso: l’attentatore si suicida in carcere. Ma non è ancora finita perché il giorno dopo esploderà una terza bomba a orologeria, questa volta a bordo della nave cargo Minnehaha. Trasportava munizioni per l’Intesa.
GLI AVVENIMENTI
Politica e società
- Conferenza anglo-francese a Calais.
- L’offerta del Sud Africa di un contingente imperiale viene accettata con gratitudine dal Governo britannico.
Fronte occidentale
- I tedeschi sono vittoriosi a Vaux Fery (Meuse, vicino a Bois de la Croix Saint-Jean).
- I francesi riguadagnano posizioni sulle alture della Meuse.
- I britannici catturano delle trincee vicino Pilkem (nord di Ypres).
Fronte orientale
- Duri scontri dall’esito incerto vicino Kraśnik, in Galizia.
- Gli austro-tedeschi sono guidati dall’arciduca Giuseppe Ferdinando.
- I russi prendono 15.000 prigionieri fra Kraśnik e Lublino.
Fronte italiano
- Si sviluppa la battaglia per l’altopiano del Carso.
Personaggi
Erich Muenter
Ok, diamo per buone le stime del 1915: negli Stati Uniti vivono circa 15 milioni tra tedeschi e cittadini di origine tedesca; mi sembrano abbastanza, il “matto”, lì in mezzo, prima o poi lo peschi.
In Europa la Grande Guerra infuria da quasi un anno ed è ben lontana da una soluzione. Il Governo americano continua a essere neutrale a parole, un po’ meno nei fatti; siamo sempre nella patria del “business is business”.
Nella tarda serata del primo luglio, è quasi la mezzanotte di un tranquillo fine settimana, una violenta esplosione sconquassa il Campidoglio; non ci sono feriti.
In prima battuta si pensa a un incidente, a una fuga di gas, ma alcuni funzionari non ne sembrano convinti. Quello è il Senato degli Stati Uniti, si deve indagare su ogni pista. L’orario è strano per far pensare a un attentato, sono tutti in vacanza, non c’era nessuno in giro in quei giorni e men che meno a quell’ora, ma l’ipotesi resta in piedi. E inizia a camminare già dal giorno seguente.
Al Washington Times è stata recapitata una lettera: proviene da New Orleans ed è firmata R. Pearce; l’autore la definisce “il punto esclamativo al mio appello per la pace”. Di fatto è la rivendicazione dell’attentato dinamitardo al Senato, il movente è soprattutto il commercio d’armi con l’Intesa e la finta neutralità americana.
Sorge subito un problema: R. Pearce è ovviamente un nome falso e comunque non si trova più né a New Orleans, né a Washington. Le indagini proseguono, ma non serviranno a niente, perché è uno di quei casi dove il risultato viene da sé.
Il 3 luglio, sono passate da poco le nove di mattina, J.P. Morgan jr. sta facendo colazione nella sua residenza estiva di Glen Cove, Long Island. Con lui c’è Cecil Spring-Rice.
Chi sono? Il primo è padrone di uno sconfinato impero finanziario, è il banchiere più influente d’America; l’altro è l’Ambasciatore britannico negli Stati Uniti.
Morgan ha da poco siglato un accordo finanziario con Londra: un ingente prestito, da poter utilizzare immaginate come.
All’improvviso succede qualcosa all’uscio di casa, Morgan va a vedere e partono due revolverate. Il banchiere è a terra, ferito, ma l’aggressore non può far altro. Un robusto vaso di bronzo è in rotta di collisione con il suo cranio; a scagliarlo è stato il maggiordomo, per una volta eroe e non carnefice.
L’improvvisato assassino viene neutralizzato e arrestato e la questione promette di durare parecchi anni. Confessa anche l’attentato dinamitardo al Senato e dichiara di chiamarsi Frank Holt; è un altro nome falso, come R. Pearce.
In realtà si chiama Erich Muenter, è un tedesco emigrato negli Stati Uniti e uno stimato professore universitario.
Quando il giorno dopo viene interrogato dalla polizia prova a giustificarsi, ma non proferisce la più geniale delle arringhe: “Non volevo assassinare Morgan, ma solo prendere in ostaggio lui e tutta la sua famiglia. Sentivo il dovere di convincere mister Morgan a porre fine alla guerra”.
Il punto, però, è un altro: nella delirante dichiarazione, pare ne sia uscito persino un “me l’ha detto Dio”, c’è di più: Muenter parla di altri attentati, li annuncia. E intanto al Quartier Generale della polizia newyorkese esplode una seconda bomba.
Ancora una volta non ci sono feriti; a Muenter interessa il gesto in sé, il “rumore” giusto per esortare gli Stati Uniti a una“vera neutralità”. Lo ribadisce in un’altra lettera, scritta in cella e spedita al New York Tribune. Si rivolge anche alla sua famiglia e si professa un buon cristiano.
Il 6 luglio 1915 si suicida in prigione; il 7 luglio esplode una terza bomba a bordo della nave cargo Minnehaha, trasportava munizioni per l’Intesa.
Ma da dove è saltato fuori questo Muenter? Bella domanda. E qui la storia si complica, anche perché qualche guaio con la giustizia l’aveva già avuto, ha girato mezza America, ha cambiato vita e ne ha dato le versioni più originali.
Sembra sia arrivato negli States nel 1890, ma lui raccontava di essere nativo del Texas o del Wisconsin, figlio di migranti tedeschi o finlandesi, tutto a seconda dell’umore. Quel che è certo è la sua disarmante facilità nelle lingue.
Nel 1899 si laurea a Chicago e ben presto inizia una carriera da docente. Da qui entriamo in un crescendo di frammenti.
Lo ritroviamo nel 1903 a Kansas State University, dove tiene dei corsi di lingua e soprattutto dove scrive “Pazzia e letteratura”; più che un saggio pare una profezia, una dichiarazione d’intenti.
Un anno dopo approda a Cambridge. Insegna tedesco ad Harvard, ma qualcosa sta per andare storto. Nel 1906 avvelena la moglie con l’arsenico, tenta di simulare una morte naturale, ma la polizia lo sospetta e lui fugge. Sale in macchina con i due figli e una taglia sulla testa di 1.000 dollari, ma non è tutto: porta con sé anche il cadavere.
A Chicago prova a far cremare il corpo, ma non gli va bene neanche qui: ne viene ordinata l’autopsia. Ormai Muenter è fregato: lascia i figli dalla zia e scappa in Messico, dove ricomincia una nuova vita come Frank Holt e si risposa.
Già, il Messico però non deve piacergli molto, quindi decide di tornare negli USA e di ricominciare tutto daccapo. Vuole ricostruirsi una carriera, ma per farlo deve laurearsi una seconda volta in lingue, con il suo nuovo alias: obbiettivo raggiunto nel 1909.
E da qui è “altro giro, altra corsa”. Passa per l’Oklahoma e il Tennessee, fino a stabilirsi nel 1913 a Ithaca, assunto dalla Cornell University.
Il mondo è alla vigilia della guerra e lui è a due passi dagli attentati del 1915.
Dal fronte
Nella regione Tirolo-Trentino il nemico tentò, durante la giornata del 5, l' attacco di Forcella Col di Mezzo a occidente delleTre Cime di Lavaredo, ma venne respinto e lasciò nelle nostre mani alcuni prigionieri, armi e munizioni.
Lungo la frontiera della Carnia, nella notte sul 5, il nemico ritornò all' attacco del trinceramento a settentrione di Pal Grande.
Fu contrattaccato e respinto con gravi perdite e abbandonò sul posto, oltre alle armi, alcuni scudi per fanteria.
Nella stessa giornata del 5 considerevoli forze attaccarono la nostra posizione di Pizzo Avostano.
Le truppe che la difendevano lasciarono avanzare le fanterie nemiche a brevissima distanza; indi le contrattaccarono e le respinsero.
Nella zona dell'Isonzo l'azione si sviluppa regolarmente. Il nemico contrasta la nostra avanzata con tenacissima resistenza e con ripetuti e vivaci contrattacchi. Però non ha mai potuto ritogliere alle nostre valorose truppe il terreno da esse con tanta fatica conquistato.
È ancora segnalato per parte delle truppe avversarie, e confermato anche da prigionieri, l'uso di mezzi sleali, tra i quali frequentissimo, benché ormai di scarso effetto, quello di simulare la resa di riparti col fare alzare le mani a catene rade di uomini più avanzate, che si gettano poi a terra all' improvviso, smascherando dense linee di tiratori.
Nonostante le difficoltà che la nostra offensiva incontra, comandi e truppe sono animati da spirito elevatissimo e dal fermo proposito di raggiungere ad ogni costo gli obbiettivi loro assegnati.
Firmato: CADORNA