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2 Giugno, 1915

Farsi le ossa

Spesso i giornali raccontano la nostra guerra come in un poema omerico, secondo canoni epici, romantici, zeppi di cavallereschi anacronismi. È l’eroismo classicheggiante a dominare l’immaginifica scena; “l’industria del massacro” verrà perlopiù tenuta nascosta.
Al fronte dobbiamo ancora farci le ossa e commettiamo gli stessi errori fatti dagli altri un anno prima. Anche i nostri Comandanti usano tattiche vecchie di trenta o quarant’anni, anche noi non cogliamo subito l’evoluzione tecnologica. Il 2 giugno il Regio esercito attacca le postazioni austro-ungariche sul monte Mrzli, nell’alto Isonzo. Assaltiamo il nemico allo scoperto, su un terreno ripido e a nostro sfavore; gli ufficiali a sciabola sguainata, a incitare i soldati. Per i nidi di mitragliatrici asburgici è una manna dal cielo: perdiamo circa il 50% delle nostre forze, compresi i due Comandanti. No, non siamo più nell’800.
I giornali fanno anche altro, come mettere in guardia dagli “spioni”. La Tribuna propone l’espulsione immediata degli stranieri: «Ogni tedesco, anche in Italia, resta un tedesco e un patriota fervente. […] Con questo non proclamiamo certo la persecuzione…» Forse no, però sembra.


Al Campidoglio parla Salandra. Il Presidente del Consiglio risponde a Bethmann-Hollweg. L’imprudente, nervosa ed eccessiva invettiva tedesca presta il fianco a repliche scontate. Contro una guardia tanto bassa e scoperta vincere il duello verbale è fin troppo facile: «I mediocri uomini di Stato che, con temeraria leggerezza ed errando in tutte le loro previsioni, appiccarono il fuoco all’Europa intera, accorgendosi ora del loro colossale errore, si sono sfogati con brutali parole contro l’Italia e contro il suo Governo. […] Il Cancelliere dell’Impero tedesco disse di essere pervaso, se non di odio, di collera. Dovette dire il vero, poiché egli ragionò male, come si ragiona negli eccessi di furore. Io non potrei imitare il loro linguaggio: il ritorno alla barbarie primitiva è più difficile a noi, che ne siamo di venti secoli più lontani. […] Sarebbe facile domandare se abbia il diritto di parlare di alleanza e di rispetto ai trattati chi ha proclamato che ‘necessità non ha legge’ e ha calpestato, bruciato, seppellito in fondo all’oceano tutti i documenti e tutte le civili consuetudini del diritto pubblico internazionale».

Davide Sartori

GLI AVVENIMENTI

Politica e società

  • Il Presidente del Consiglio dei Ministri Salandra pronuncia un discorso esponendo quale sia stata la politica dell' Italia dal principio del conflitto e rispondendo fieramente alle calunnie del Cancelliere tedesco e dell' imperatore d'Austria-Ungheria.
  • Il Governo inglese annuncia il blocco della costa dell’Asia Minore.

Fronte orientale

  • Gli austro-tedeschi attaccano Przemsyl.
  • Gli austriaci vengono sconfitti sul Dnestr.

Fronte italiano

  • Un violento contrattacco austro-ungarico nell'alto Isonzo (Sleme-Mrzli) è respinto.

Operazioni navali

  • Un sottomarino inglese affonda un trasporto tedesco nel Mar di Marmara.

Parole d'epoca

Discorso di Antonio Salandra al Campidoglio

La nostra guerra è una guerra santa

Signore e Signori!Ho accettato di buon grado l'invito d'intervenire a questa adunanza per mostrare come il Governo reputi di primaria importanza l'opera di solidarietà nazionale, alla quale si è accinto il Comitato romano, e come esso speri che in ogni comune del Regno, grande o piccolo, sorga e si mantenga con la fiamma dell'entusiasmo, ma anche con la pertinace e duratura costanza della organizzazione, mia consimile benefica associazione di persone e di energie materiali e morali. Noi siamo entrati, a tutela delle più antiche e più alte aspirazioni, dei più vitali interessi della Patria nostra, in una guerra più grande di qualunque altra la storia ricordi, in una guerra la quale investe e trasporta nel suo turbine non soltanto i combattenti, ma tutti coloro che restano. Nessuno se ne può sottrarre: chi alla Patria non dà il braccio, deve dare la mente, i beni, il cuore, le rinunzie, i sacrifizi. (Applausi).

 È tutta una elevazione, tutta una sublimazione di un popolo, che deve essere voluta e compiuta. A coloro che restano tocca di fare che la vita nazionale si svolga ininterrotta, che le famiglie, le quali perdono i loro sostegni, siano in ogni forma sorrette, che i cuori si mantengano alti e forti, disposti alìe gioie più intense ed ai più atroci dolori, parati a tutto, ma fidenti nella vittoria finale; perchè giusta è la causa che ci ha mossi e la nostra guerra è una guerra santa. (Bravo. Applausi vivissimi).Occorre che della giustizia della nostra causa, della santità della nostra guerra gli Italiani di ogni ceto abbiano non solo, come meravigliosamente mostrano di avere, la sensazione spontanea istintiva profonda, ma anche la persuasione ragionata. Occorre ne sia persuaso il mondo civile. (Benissimo).All'Italia e al mondo civile io mi rivolgo per mostrare, non con parole veementi... (bravo; applausi), ma con fatti precisi e documentati, come la rabbia nemica abbia invano tentato di sminuire l'alta dignità morale e politica della causa che le nostre armi faranno prevalere. (Bravo. Applausi).Parlerò con la serena compostezza, della quale ha dato nobilissimo esempio il Re d'Italia (applausi vivissimi, grida di viva il Re), chiamando alle armi i suoi soldati di terra e di mare. Parlerò come debbo, osservando il rispetto dovuto al mio grado e al luogo onde parlo. (Bravo. Applausi). Potrò non curare le ingiurie scritte nei proclami imperiali, reali e arciducali. Poiché parlo dal Campidoglio e rappresento, in quest'ora solenne, il Popolo e il Governo d'Italia, io, modesto borghese, mi sento di gran lunga più nobile del capo degli Asburgo-Lorena {Bravo. Applausi vivissimi).
I mediocri uomini di Stato, i quali, con temeraria leggerezza, errando in tutte le loro previsioni, appiccarono nel luglio scorso il fuoco all'Europa intera ed alle stesse loro case, accorgendosi ora del nuovo colossale errore, nei Parlamenti di Budapest e di Berlino si sono sfogati con brutali parole contro l'Italia e contro il suo Governo, col fine evidente di farsi perdonare dai loro concittadini, ubriacandoli di truci visioni di odio e di sangue. (Bravo). Il Cancelliere dell'Impero tedesco disse essere egli compreso, se non di odio, di collera. E dovette dire il vero ; poiché egli ragionò male, come si ragiona negli accessi di furore. (Benissimo; si ride). Io non saprei, se anche volessi, imitare il loro linguaggio. Il ritorno atavistico alla barbarie primitiva è più difficile a noi, che ne siamo di venti secoli più lontani. (Bravissimo). Non badiamo alle parole; atteniamoci alle ragioni ed ai fatti. La tesi fondamentale degli uomini di Stato dell'Europa centrale si racchiude nelle due parole «tradimento e sorpresa», rivolte all'Italia, tradimento e sorpresa verso i suoi «fedéli» alleati. Sarebbe facile domandare se abbia il diritto di parlare di alleanza e di rispetto ai trattati chi, rappresentando con tanto minore genialità di mente ma con uguale indifferenza .morale la tradizione di Federico il Grande e di Ottone di Bismarck, ha proclamato che «necessità non ha legge» ed ha consentito che il suo Paese calpestasse, bruciasse, seppellisse in fondo all'Oceano tutti i documenti e tutte le civili consuetudini del diritto pubblico internazionale. (Applausi). Ma sarebbe troppo facile e soltanto pregiudiziale argomento. Esaminiamo invece, positivamente e pacatamente, se gli alleati abbiano il diritto di dirsi traditi e sorpresi da noi. Note da gran tempo erano le nostre aspirazioni e noto il nostro giudizio sopra l'atto di follia criminale pel quale essi scompigliarono il mondo e tolsero all'alleanza stessa la sua intima ragione d'essere. Il Libro Verde, preparato da Sidney Sonnino, al quale è vanto della mia vita essere legato con piena solidarietà, dopo trentanni di amicizia, in quest'ora solenne (applausi vivissimi. Grida di viva Sonnino), il Libro, Verde, che più di qualunque altro fascicolo di documenti diplomatici è penetrato nella coscienza del popolo, dimostra le lunghissime penose inutili trattative trascinatesi da decembre a maggio. Ma non è vero, come artificiosamente si tenta far credere, che il Ministero, ricostituitosi nel novembre, mutasse l'indirizzo della nostra politica internazionale. Il Governo italiano, la cui linea di condotta non ha mai mutato — e mi piace dirlo ad onore della memoria dell'illustre amico e collega, il cui solo rimpianto innanzi alla morte fu di non aver veduto il giorno, da lui ardentemente auspicato, delle rivendicazioni nazionali — il Governo italiano giudicò severamente, al momento stesso che ne ebbe conoscenza, l'aggressione dell'Austria alla Serbia; e ne previde le conseguenze non prevedute da coloro che con tanta incoscienza avevano premeditato il colpo. Eccone la prova. Leggerò, poiché si tratta di documenti. Il 25 luglio il marchese Di San Giuliano telegrafava al duca d'Avarna come segue: «Oggi abbiamo avuta una lunga conversazione a tre (il Presidente del Consiglio, il signor Flotow ed io) che riassumo per informazione personale di V. E. e per eventuale, norma di linguaggio. «Abbiamo, Salandra ed io, fatto notare anzitutto all'Ambasciatore che l'Austria non avrebbe avuto il diritto, secondo lo spirito del Trattato della Triplice Alleanza, di fare un passo, come quello che ha fatto a Belgrado, senza previo accordo coi suoi alleati. «L'Austria, infatti, pel modo come la Nota è concepita e per le cose che domanda, le quali mentre sono poco efficaci contro il pericolo pan-serbo, sono profondamente offensive per la Serbia ed indirettamente per la Russia, ha chiaramente dimostrato che vuole provocare una guerra. Abbiamo perciò detto al signor Flotow che, per tal modo di procedere dell'Austria e per il carattere difensivo e conservatore del Trattato della Triplice Alleanza, l'Italia non ha, obbligo di venire in aiuto. dell'Austria in caso che, per effetto di questo suo passo, essa si trovi poi in guerra con la Russia; poiché qualsiasi guerra europea è in questo caso conseguenza, dì un atto di provocazione e di aggressione dell'Austria». Poco dopo, il 27 e 28 luglio, noi ponemmo a chiare note, a Berlino e a Vienna, la questione della cessione delle provincie italiane dell'Austria; e dichiarammo che, se non si ottenessero adeguati compensi (leggo le testuali parole), «la Triplice Alleanza sarebbe stata irreparabilmente spezzata». (Applausi vivissimi). La storia imparziale dirà che l'Austria, avendo trovato l'Italia ostile nel luglio 1913 e nell'ottobre dello stesso anno ai suoi propositi di aggressione alla Serbia, tentò l'estate scorsa, d'accordo con la Germania, la via della sorpresa e del fatto compiuto.L'esecrando delitto di Serajevo fu sfruttato come un pretesto un mese dopo che era stato commesso. Lo prova il rifiuto austriaco di accettare le profferte remissive della Serbia. Nè dal momento della conflagrazione generale, si sarebbe contentata l'Austria dell'accettazione integrale dell'ultimatum. Il 31 luglio 1914 il conte Berchtold dichiarava al nostro ambasciatore che, ove la mediazione avesse potuto essere esercitata, non avrebbe dovuto fare interrompere le ostilità già iniziate colla Serbia». Era la mediazione intorno a cui si affaticavano l'Inghilterra e l'Italia, «Ini ogni caso il conte Berchtold non era disposto ad accettare la mediazione intesa ad attenuare le condizioni indicate nella Nota austro-ungarica, le quali non avrebbero potuto naturalmente che essere aumentate alla fine della guerra. D'altra parte, se la Serbia si fosse decisa nel frattempo di aderire senz'altro alla Nota suddetta, dichiarandosi pronta ad eseguire le condizioni impostele, ciò non avrebbe potuto indurre il Governo Imperiale e Reale a cessare le ostilità». E non è vero che l'Austria s'impegnasse, come ha detto il Presidente del Consiglio ungherese, a non compiere acquisti territoriali a danno della Serbia, la quale, del resto, accettando tutte le condizioni impostele, sarebbe diventata, se anche territorialmente integra, uno Stato vassallo. Il 30 luglio l'ambasciatore Merey disse al marchese Di San Giuliano le seguenti parole: «L'Austria non può fare una dichiarazione impegnativa al riguardo, perchè non può prevedere se nel corso della guerra non sarà obbligata, contro la sua volontà, a conservare dei territori serbi». (Commenti animati). E il 29 luglio Berchtold aveva fatto intendere ad Avarna che «non sarebbe stato disposto a prendere impegno alcuno circa quanto gli aveva detta in ordine all'eventuale condotta dell'Austria nel caso dì conflitto con la Serbia ». Dove è dunque il tradimento, dove la iniquità, dove la sorpresa, se, dopo nove mesi di sforzi vani per arrivare ad una intesa onorevole, la quale riconoscesse in equa misura i nostri diritti e tutelasse i nostri interessi, noi riprendemmo la nostra libertà d'azione e provvedemmo come l'interesse della Patria ci consigliava? Sta invece in fatti che Austria e Germania credettero fino agli ultimi giorni di avere a fare con una Italia imbelle, rumorosa ma non fattiva, capace di tentare un ricatto non mai di far valere colle armi il suo buon diritto, con una Italia che si potesse paralizzare spendendo qualche milione e frapponendosi con inconfessabili raggiri fra il Paese e il Governo. (Applausi vivissimi). Sovrani e ministri stranieri hanno parlato dell'alleanza, che noi abbiamo denunciata dopo che essi sostanzialmente l'avevano infranta, come di una Provvidenza sotto le cui grandi ali l'Italia ha vissuto per tanti anni, si è sviluppata economicamente e si è territorialmente accresciuta. Non negherò, sarebbe stoltezza, i benefici dell'alleanza, benefici però non unilaterali, ma di tutti i contraenti, e non forse più di noi che degli altri. Perchè, altrimenti, gli Imperi centrali l'avrebbero voluta e rinnovata? Era forse un sentimentale, un innamorato del bel paese dove fiorisce l'arancio, il principe Ottone di Bismarck? E furono forse in qualunque tempo teneri di noi i principi e gli uomini di governo della Monarchia austro-ungarica? Giova sapere in realtà e con precisione di date e di fatti come abbia funzionato l'alleanza in questi ultimi anni nel suo spirito vero, e come abbia contribuito al nostro unico ingrandimento territoriale, che fu l'impresa della Libia. (Commenti). Il continuo sospetto, le intenzioni aggressive della Monarchia austro-ungarica contro l'alleata, sono notorie e risultano da prove autentiche. Il Capo di stato maggiore, generale Conrad, ha sostenuto sempre il concetto «che la guerra contro l'Italia è inevitabile, sia per la questione delle provincie irredente, sia per la gelosia del Regno a riguardo, di tutto ciò che la Monarchia intraprende nei Balcani e nel Mediterraneo orientale» . E altrove: «l'Italia vuole estendersi non appena si sia preparata; e intanto si oppone a tutto ciò che noi vogliamo intraprendere nei Balcani. Ne consegue che bisogna abbatterla per aver noi mani libere». E deplorava che fin dal 1907 non si fosse attaccata l'Italia. (Commenti). Lo stesso Ministero austriaco degli affari esteri riconosceva che nel partito militare era diffusa l'opinione che si debba opprimere in guerra il Regno d'Italia perchè da questo viene la forza di attrazione per le Provincie italiane dell'Impero e che quindi con la vittoria sul Regno e il suo annientamento politico cesserebbe ogni speranze per gli irredenti. Intanto, fino al momento della guerra (che dovrebbe per ragioni di reciproco sviluppo di potenza dei due Stati essere affrettata con ogni mezzo) si dovrebbero opprimere le Provincie italiane col rigore penale e con l'opporsi ad ogni desiderio riguardante le questioni di cultura». Da questo pensiero risulta evidente con quanta sincerità e buona fede sia stata trascinata per tanti anni la questione della Università Italiana. (Approvazioni). Ed ora vediamo come gli alleati ci abbiano aiutato nell'acquisto della Libia. Non dirò se non ciò che risulta da documenti. Le operazioni brillantemente iniziate dal Duca degli Abruzzi contro le torpediniere turche raccolte a Prevesa furono arrestate dall'Austria in modo brusco ed assoluto. Il conte Aehrenthal significava il 1°ottobre 1911 al nostro Ambasciatore a Vienna che «le nostre operazioni lo avevano penosamente impressionato e che non si poteva ammettere che esse continuassero; era urgente che vi fosse posto termine e che ordini fossero dati per impedire che esse avvenissero di nuovo nelle acque sia, dell'Adriatico sia dell'Jonio». Più minacciosamente ancora, il giorno dopo, l'Ambasciatore di Germania a Vienna informava confidenzialmente il nostro Ambasciatore che Aehrenthal lo aveva pregato «di telegrafare al proprio Governo che facesse intendere al Governo italiano che, se avesse continuato nelle sue operazioni navali nell'Adriatico e nell'Ionio, il Governo italiano avrebbe avuto a che fare direttamente coli Austria-Ungheria». (Commenti). E non soltanto nell'Adriatico e nell'Ionio l'Austria paralizzava la nostra azione. Il 5 novembre il conte Aehrenthal informava il Duca d'Avarna di aver saputo che alcune navi da guerra italiane erano state segnalate nelle vicinanze di Salonicco, ove avrebbero proceduto a proiezioni a luce elettrica (breve ilarità), e dichiarava «che una nostra azione sulle coste ottomane della Turchia europea come sulle isole, del Mare Egeo non avrebbe potuto essere ammessa né dall'Austria-Ungheria né dalla Germania, perchè contraria al Trattato della Triplice Alleanza » . Nel marzo 1912 Berchtold, succeduto frattanto ad Aehrenthal, dichiarava all'Ambasciatore di Germania in Vienna che, «per ciò che riguardava una nostra operazione contro le coste ottomane europee e le isole dell'Egeo, egli manteneva il punto di vista di Aehrenthal secondo il quale quelle operazioni erano considerate dal Governo Imperiale e Reale contrarie agli impegni da noi assunti con l'art. 7 del Trattato della Triplice Alleanza. Quanto alla nostra operazione contro i 'Dardanelli egli la considerava in opposizione: 1° alla promessa da noi fatta di non procedere ad alcun atto che potesse mettere a cimento lo statu quo nei Balcani; 2° allo spirito stesso del Trattato che si basava sul mantenimento dì quello statu quo». Di poi, quando la nostra squadra trovandosi all'imboccatura dei Dardanelli veniva bombardata dai forti di Kum Kalessi e rispondeva danneggiando i forti stessi, Berchtold si lamentò dell'accaduto considerandolo in contraddizione delle promesse fatte, e dichiarò che, se il Regio Governo desiderava riprendere la sua libertà d'azione, il Governo Imperiale e Reale avrebbe potuto fare altrettanto. (Commenti). Aggiunse che non avrebbe potuto ammettere che noi avessimo fatto in avvenire operazioni simili a quelle compiute o in qualsiasi modo in opposizione al suo punto di vista. Così pure ci fu impedita la disegnata occupazione di Chio. Non occorre rilevare quante vite di soldati italiani e quanti milioni ci abbia costato il persistente impedimento ad ogni nostra azione risolutiva contro la Turchia (approvazioni), la quale si sapeva protetta dai nostri alleati contro ogni attacco alle sue parti vitali. (Approvazioni ed applausi). Un altro rimprovero che ci è stato amaramente fatto è di non esserci accontentati delle «prodigiose» concessioni le quali ci furono offerte in questi ultimi tempi. Anzitutto si potrebbe domandare: queste concessioni erano offerte in buona fede? (Breve ilarità. Approvazioni). Il sospetto nasce leggendo gli ultimi documenti. L'imperatore Francesco Giuseppe ha detto che l'Italia guardava con «cupidi sguardi» verso il patrimonio della sua Casa. (Commenti). Il cancelliere Bethmann Holweg ha detto che con queste concessioni si intendeva «comperare la nostra fedeltà». Ed allora, o signori, applauditeci per non averle accettate. (Applausi vivissimi). Ma guardiamo tuttavia alla sostanza delle cose. Queste concessioni, pur movendo dall'ultima tardiva edizione che pervenne nelle mani del Ministro degli Esteri e mie dopo che era stata trai le mani di uomini politici e di giornalisti di varia provenienza (applausi vivissimi. Grida di: «Viva Salandra)... queste tardive concessioni, se pure le avessimo potuto accettare per buone, non rispondevano in alcun modo agli obbiettivi che la politica italiana doveva proporsi.Tali obbiettivi possono ridursi a tre: 1° la difesa della Italianità, il maggiore nostro dovere: 2° un confine militare sicuro, che sostituisse quello che nel 1866 ci fu imposto e per il quale le porte e le sponde d'Italia sono aperte ai nostri avversari; 3.° una posizione strategica nell'Adriatico meno malsicura, meno infelice di quella che abbiamo, e di cui si vedono in questi giorni gli effetti. Tutti questi vantaggi, per noi essenziali, ci erano sostanzialmente negati. L'offerta, a grado a grado accresciuta, del Trentino, non arrivava, non è mai arrivata, allo Alto Adige, ed escludeva l'Ampezzano, quella Cortina in cui i nostri soldati sono ora gloriosamente giunti (applausi vivissimi), nonché la parte superiore, indubbiamente italiana, della Val di Non, col pretesto, per l'Ampezzano, che si trattasse non di genti italiane ma di genti ladine (breve ilarità), come se la differenza tra Ladini e Italiani non fosse infinitamente minore che tra Ladini e Tedeschi. E noi non vi aspiravamo per l'importanza di quei territorii, ma perchè col confine segnatoci dall'Austria, in cui potere sarebbero rimaste le testate delle valli, avremmo, avuto, come prima, aperte le porte idi casa nostra. Nel Libro Verde si può leggere un ingenuo documento austriaco in cui si dice press'a poco: No; questo non possiamo darvelo, perchè ci guasterebbe il confine militare. Ma non si trattava di un confine militare di difesa per l'Austria, nel qual caso sarebbe stata giusta la pretesa di non lasciarci aperta la porta di casa sua, bensì di un confine militare di offesa per l'Italia, perchè si trattava — lo ripeto — di lasciare aperte le porte di casa nostra. Sull'Adriatico nessuna concessione ci fu mai offerta, neanche all'ultimo. E quando noi, col pianto nell'anima, ma pensando che ogni massimo sforzo si dovesse fare per evitare una guerra, ci piegammo a chiedere come minimo che Trieste e una zona circostante fossero considerate non parte del Regno d'Italia, ma non più parte dell'Impero austriaco, e fossero costituite a Stato libero, questo ci fu negato, e, a Trieste si promise che cosa? l'autonomia amministrativa ! (Commenti) . Un altro punto importantissimo della questione dibattuta fu quello della esecuzione. Io penso che cosa avreste detto voi, voi Italiani, che cosa avrebbe detto il nostro Parlamento se noi, uomini di governo, ci fossimo presentati annunziando che eravamo in pieno accordo con l'Austria-Ungheria, che avremmo avuto una parte del Trentino e qualche altro piccolo lembo di terra non oltre l'Isonzo, ma a pace compiuta. (Commenti). La pace compiuta, poi, si attenuò con l'offerta, nell'ultimissimo giorno, della nomina di Commissioni miste le quali avrebbero studiato il futuro confine, dopo di che sarebbero venute le ratifiche, e dopo, entro un mese da queste, si sarebbero occupati i territorì. Quanto tempo e quanti probabili cavilli nell'esaurimento di questa procedura! Ma ci si oppone che della esecuzione non avremmo dovuto dubitare perchè ci sarebbe stata la guarentigia della Germania. (Commenti). Supponiamo questa guarentigia data con perfetta intenzione di dimostrarla efficace. Supponiamo che la Germania, alla fine della guerra, sarebbe stata in condizione di poter mantenere la parola data: ciò che non è sicuro. (Commenti). Quale sarebbe stata la nostra condizione dopo questo accordo? Si sarebbe costituita una nuova Triplice, una Triplice rinnovata, ma in ben altre e per noi inferiori condizioni da quella di prima, poiché sarebbe stata formata da uno Stato sovrano e da due Stati sostanzialmente vassalli. (Commenti). Il giorno in cui una delle clausole del Trattate non fosse stata eseguita, il giorno in cui, dopo breve tempo, dopo anni, l'autonomia municipale di Trieste fosse stata infranta da un qualsiasi decreto imperiale o da un qualsiasi Luogotenente, a chi avremmo potuto rivolgerci? Avremmo dovuto ricorrere al comune superiore, alla Germania. (Breve ilarità. Commenti). Ora, Signori, io voglio dirvi che della Germania non intendo parlare senza ammirazione e senza rispetto. Io sono Primo Ministro d'Italia, non Cancelliere tedesco, e non perdo il lume della ragione. (Vivissimi applausi). Ma con tutto il rispetto idovuto alla dotta alla potente alla grande Germania, mirabile esempio di organizzazione e di resistenza, in nome del mìo Paese debbo dire: vassallagggio no, protettorato no, verso nessuno. (Applausi). Il sogno della egemonia universale è stato infranto. Il mondo è insorto. La pace e la civiltà dell'umanità futura debbono fondarsi sul rispetto delle compiute autonomie nazionali (vive approvazioni), fra le quali la grande Germania dovrà vivere pari alle altre, ma non padrona. (Applausi vivissimi). Ma il più notevole esempio dell'orgoglio smi- surato, con cui gii uomini che dirigono la, politica dell'Impero germanico considerano le altre nazioni, si trae dal quadro che il cancelliere Bethmann Hollweg ha fatto del mondo politico italiano. Voglio leggerlo in un riassunto più completo di quello che fu dato dai giornali, in un riassunto arrivato il giorno dopo. Ecco che cosa il Cancelliere tedesco disse di noi: «Gli uomini di Stato italiani fecero contro il loro popolo il medesimo giuoco che contro di noi. Senza dubbio il possesso di territori di lingua italiana al nord delle sue frontiere era oggetto dei sogni e dei desidieri di ogni Italiano. Ma il fatto è che gran parte del popolo italiano, che la maggioranza del Parlamento, non volevano saperne della guerra. «Nei primi giorni di maggio, secondo le osservazioni del miglior conoscitore delle cose italiane (breve ilarità), i quattro quinti del Senato, i due terzi della Camera, erano ancora contro la guerra. «Fra essi, continua il cancelliere Bethmann Hollweg, si trovavano gli uomini di Stato più seri ed autorevoli, ma la voce del buon senso non era più ascoltata; soltanto la plebaglia regnava. «Con la benevola tolleranza e l'appoggio dei principali membri di un Gabinetto rimpinzato d'oro della Triplice Intesa (vivissima ilarità), il popolaccio, guidato da agenti provocatori senza scrupoli, fu spinto a frenesia sanguinaria minacciando al Re la rivoluzione ed a tutti i moderati l'assassinio, se non si fossero abbandonati al delirio della guerra. (Commenti). «Si lasciò per deliberato proposito ignorare al popolo italiano l'andamento dei negoziati con l'Austria e la portata delle concessioni austriache; di guisa che dopo le dimissioni del Gabinetto Salandra non si trovò alcuno che avesse il coraggio di accettare di formare un nuovo Gabinetto (commenti); e nel corso delle discussionidecisive nessun membro dei partiti costituzionali del Senato o della Camera tentò neppure di apprezzare il valore delle concessioni così estese dell'Austria. (Commenti). In questa frenesia di guerra onesti uomini politici divennero muti; ma quando, nel seguito delle operazioni militari, come noi speriamo e desideriamo, il popolo italiano sarà rientrato nei buon senso, riconoscerà quanto leggermente sia stato spinto a partecipare a questa guerra mondiale». (Commenti animatissimi). Io non so, Signori, se vi sia stata in questo uomo accecato dalla rabbia intenzione di offendere personalmente i colleghi miei e me. Se così fosse non lo rileverei. Uomini noi siamo di cui conoscete il passato ; uomini che hanno servito lo Stato fino a questa tarda età; uomini di fama incontaminata (vive approvazioni); uomini che danno al Paese la vita dei loro figli. (Applausi vivissimi) . Ma non pensate a noi. Ponete mente invece alla ingiuria atroce che quel brano di prosa vandalica scaglia contro il Re, contro il popolo d'Italia, contro la Camera e il Senato, contro gli stessi uomini politici che avevano una opinione diversa dalla nostra. Tutti muti, si disse; dunque tutti vili! Le informazioni sulle quali questo giudizio è fondato sono attribuite dal Cancelliere dell'Impero a quegli che egli chiama il miglior conoscitore delle cose italiane. (Commenti). Forse allude, con fraterno desiderio di addossargliene la responsabilità, al Principe di Bùlow. Ora, o signori, io voglio che delle intenzioni del Principe di Bùlow voi non abbiate un erroneo apprezzamento. Io credo che, animato da vera simpatia per il nostro Paese, egli abbia fatto tutto quello che poteva per riuscire a una intesa. (Commenti). Ma quanti e quali errori nel tradurre in atto le sue buone intenzioni! Egli suppose che l'Italia potesse sviarsi dalla sua rotta per qualche milione male speso, per l'influenza di poche persone che hanno persa la percezione dell'anima nazionale (vive approvazioni), per obliqui contatti tentati, ma spero e credo non riusciti, con uomini politici italiani. (Vive approvazioni). Ne derivò l'effetto opposto. Un immenso scoppio di indignazione si accese in tutta Italia, e non nel popolaccio, ma nelle classi veramente più elevate, nei cuori più nobili, in tutti coloro che sentono la dignità della Nazione, nella gioventù che è pronta a dare alla idealità della Patria il suo purissimo sangue (applausi); uno scoppio d'indignazione si accese al sospetto che un'Ambasciata straniera si inframmettesse tra Governo, Parlamento e Paese. (Applausi vivissimi). In questo fuoco si fusero le discordie interne e la Nazione tutta si rinsaldò in una maravigliosa unità morale che sarà la nostra massima forza nel duro cimento e che deve condurci, per virtù nostra non per altrui benevola concessione, alla effettuazione dei più alti destini della Patria. (Applausi vivissimi). Ieri l'altro un Principe della Chiesa ingiungeva al clero della sua Archidiocesi: «Inspirate il proposito fermo della più severa disciplina e dell'amore sincero alla nostra terra che renda a chiunque impossibile di suscitare una discordia in un'ora nella quale la concordia è dovere supremo. Ieri potevamo discutere, domani lo potrete ancora: oggi no». (Vive approvazioni). E il giorno stesso il Prefetto di una nobile città iemiliana, nella quale è maggioranza da gran tempo il partito socialista, mi telegrafava, commosso di amor patrio, che partivano fra l'entusiasmo di tutto il popolo i volontari ciclisti e che finalmente, dopo nove anni, il tricolore sventolava dal palazzo del Comune. (Applausi vivissimi). Questa unità morale, Signore e Signori, si manifesti incrollabile nelle opere di guerra e nelle opere di pace, in coloro che si battono e in coloro che restano, in coloro che muoiono e in coloro che sopravvivono. Entrati nella grande crisi, noi non dobbiamo essere da meno degli altri popoli alleati e nemici: dal Re che, interprete, come sempre i Savoia, del sentimento popolare e delle aspirazioni nazionali, è là, al campo, affidando alla custodia del popolo di Roma l'Augusta Sovrana e i teneri figli (applausi vivissimi; grida di Viva il Re!), fino ai più Umili lavoratori delle città e della campagna, alle donne, ai giovanetti: tutti per ciascuno, tutti fidenti che col nostro sforzo supremo consegneremo alla generazione ventura un'Italia più completa, più forte, più onorata, un'Italia che si assida nel consesso delle Potenze non vassalla o protetta ma sicura nel suoi termini naturali, e che ritorni alle feconde gare della pace, propugnatrice, quale sempre è stata, di libertà e di giustizia nel mondo. (Applausi vivissimi). Poiché alla nostra generazione i Fati assegnarono il compito tremendo e sublime di tradurre in atto l'ideale della grande Italia che gli eroi del Risorgimento non potettero vedere compiuto, accettiamo questo compito con animo invitto, disposti a dare alla Patria tutti noi stessi, quello che siamo e quello che abbiamo. Dinanzi al tricolore che sventola al campo presso la sacra persona del Re si inchinino tutte le bandiere, si fondano tutti gli animi nella fede concorde che in quel segno vinceremo. Viva l'Italia! Viva il Re! (Applausi vivissimi. Grida di Viva il Re.!).

Dal fronte

Frontiera Tirolo-Trentino: Non si hanno a segnalare combattimenti di qualche importanza; le nostre truppe hanno avanzato in Val Giudicaria e occupato Storo, spingendosi fino oltre Condino e collegandosi con forti reparti alpini, scesi sul Chiese dalle ripide balze di Valle Caffaro e di Valle Camonica.
Frontiera della Carnia: Il 31 maggio dalla testata di Valle Raccolana disturbammo con fuoco efficace di artiglieria a grande distanza un tentativo nemico di costruire un ponte su di un torrente montano, oltre frontiera, sul versante nord del Presil. L'artiglieria avversaria rispose senza alcun risultato. Rigognizioni offensive irradiate oltre la testata di Val Dogna portarono alla cattura di materiale nemico. In tutta la giornata imperversò il mal tempo, ostacolando più ampie operazioni.
Frontiera del Friuli: Abbiamo saldamente occupato il costone di Montenero sulla sinistra dell'Isonzo a circa dieci chilometri a nord-ovest di Tolmino. Nel pomeriggio del 31 maggio, con violenti contrattacchi, il nemico tentò di sloggiarci dalle località occupate, ma venne ovunque respinto.
Firmato: CADORNA

giugno 1915
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Come in una macchina del tempo, ogni giorno una nuova pagina del diario.
Le testimonianze, le immagini, i filmati negli archivi e nei giornali dell'epoca.

Sono nato a Roma nel dicembre del 1984, mi sono diplomato al liceo scientifico J.F. Kennedy e ho frequentato la facoltà di Scienze della Comunicazione all’università la Sapienza, ma non mi sono laureato.

I miei interessi? Un po’ di tutto, come molti trentaduenni. Lo sport, la politica, la Storia del ‘900. Niente di eccezionale.


Dal dicembre 2003 al marzo 2005, ho scritto per un giornale locale (Il Corriere Laziale), quindi ho fatto uno stage con una piccola televisione satellitare (Nessuno TV).
Nel 2011 la Graphofeel edizioni ha pubblicato il mio libro “Mens insana in corpore insano”, il racconto di una vacanza on the road da Roma a Capo nord.
Dall’agosto 2013 al gennaio 2014 ho ricominciato a scrivere di calcio quotidianamente, con articoli e pronostici sportivi sul sito http://www.scommessepro.com/
Da giugno 2014 racconto la Grande Guerra, giorno per giorno.

Davide Sartori