Atene tra l'incudine e il martello
Altro problema in vista per la Grecia. Dopo le recenti “incomprensioni” con l’Intesa e una scaramuccia con i volontari venizelisti a Katerini, ad Atene giunge una comunicazione da Berlino: la neutralità greca verrà considerata violata qualora la Grecia consegnasse agli Alleati il materiale bellico richiesto. È un vicolo cieco, un problema insolubile senza irritare una delle parti: o si rompe l’accordo con gli Alleati, o si ignora la protesta tedesca.
Sul fronte macedone i serbi sconfiggono i bulgaro-tedeschi nella regione del Crna, catturano le alture di Chuka e il 10 novembre muovono qualche altro passo in direzione di Monastir.
Berlino e Sofia devono ripiegare anche in Dobrugia, dove la controffensiva russo-rumena ha riconquistato le ceneri ancora calde di Hârşova e Dunărea. Bucarest però non può festeggiare: gli austro-tedeschi hanno ripreso vantaggio nelle tre vallate della Prahova, dell’Olt e del Jiu. L’equilibrio resta precario.
Operazioni minori sul fronte occidentale, dove gli Alleati ratificano le posizioni a nord di Thiepval e a nord-est di Lesbœufs.
Davide Sartori
GLI AVVENIMENTI
Politica e società
- Nota tedesca al Governo greco sui materiali di guerra.
- Il Governo di difesa nazionale a Salonicco passa in rivista le truppe.
- All’Ambasciata italiana di Parigi è nominato il Marchese Giovanni Salvago Raggi.
- Nota del Governo ottomano alle Potenze centrali, in cui dichiara nulli e senza valore i trattati di Parigi del 1856 e di Berlino del 1878.
Fronte occidentale
- Nord della Somme: i britannici catturano la porzione a est della trincea Regina (a nord di Thiepval).
- I francesi catturano diverse trincee tedesche a nord-est di Lesbœufs.
- Idrovolanti inglesi attaccano Ostenda e Zeebrugge.
Fronte meridionale
- I serbi avanzano verso Monastir e prendono le alture di Chuka.
- Sulla destra del Crna si impegna un’aspra battaglia fra serbi e bulgaro-tedeschi con rilevanti successi iniziali per i serbi.
Operazioni navali
- Attacco di una flottiglia tedesca, respinto dai russi, al porto Baltico (ovest di Reval, Tallin): affondate dalle 6 alle 9 tra torpediniere e cacciatorpediniere tedesche.
Parole d'epoca
Povera Italia, poveri morti, poveri eroi!
di Giovanni Presti, 71° reggimento fanteria, brigata Puglie. Poi 45°, brigata Reggio, Tenente, poi capitano
Per lo più mi rassegno e me la prendo, come suol dirsi, filosoficamente; ma quando il martirio esula dalla mia persona e si estende a degli esseri più deboli di me incapaci di riflessioni pazienti, perché la dura vita fiacca ogni energia volitiva e inebetisce, allora mi ribolle in tutto l’organismo un cupo grido di vendetta contro i colpevoli diretti e indiretti di questa guerra, di questo obbrobrio umano. Vivo ancora, Mariuzza, Mariuzza mia, anche dopo la notte trascorsa, posso dire, con la morte; e vivo per una potente volontà, che è la tua e certo per le tue preghiere irrorate di lagrime. Ed io lo spirito protettivo lo sentivo che mi strappava alle lubriche violenze della morte. Le mie forze erano vinte. Era un’ombra soave che per me lottava contro una truce, ombra ringhiosa. Te lo racconto come se fosse una leggenda. La neve crebbe smisuratamente. Non c’erano più cunicoli e cocuzzoli. Il Pasubio così frastagliato pareva un immensa pianura bianca.
Il grazioso e fantastico paesaggio che avevo creato nelle mie posizioni era scomparso, era stato vinto dalla prepotenza bianca. Qualche soldato che usciva a stento dalla buca quasi schiacciata dalla placida regina delle intemperie, sembrava una vagante e muta anima nordica dispersa.
Venne l’ordine di andare a dare il cambio all’isolata compagnia sulla posizione occupata l’altra notte dalla mia vecchia 1^. L’altra compagnia era bloccata: bisognava liberarla. Mi disposi con buona volontà malgrado l’aria sembrasse un delirio di turbini. Credevo di trovar la via; ma tutto era appianato di latte. E cielo, terra, a due passi di distanza, tutta l’aria non era che neve. Raddoppiava le mie forze qualche grido disperato, proveniente dalla compagnia bloccata. I soldati, di ghiaccio, a quel grido si fiaccavano di più. Siccome volli mettermi in testa – faccio sempre così – cominciai coll’affondare cinque o sei volte più sopra i capelli. Il mio portaordini e un caporal maggiore sempre dietro ad estrarmi. Sarebbe stato niente se la tormenta non avesse soffocato ogni nostro impeto. Ci serrava la gola. Due ufficialetti nuovi venuti, di quelli che a casa gridavano: “Viva la guerra” caddero assiderati. E così cadevano i soldati meno resistenti travolti dalla tormenta, dalla neve rabbiosa. Mi sentii perduto. Ormai anch’io coi miei eravamo bloccati. E non c’era verso di potersi districare. Né avanti, né dietro. Desiderai con suprema voluttà, l’Isonzo, il Carso, Oslavia. Almeno là si dà più proficuamente la vita nella stupenda visione d’una battaglia, nella vera lotta di uomo con uomo. Ma sentirsi mancare nella sterile tenzone contro gli elementi, è una tragedia che non ha nome. Questa immobilità assiderante durò quattro ore e mezzo. Vidi cose terribili. Poi mandai l’ultimo ufficiale rimastomi con i più arditi a prendere dei badili. A branciconi, a via di sforzi titanici giunsero nel Comando di Battaglione, il quale prima mandò l’ordine di continuare ad ogni costo sino all’ultimo uomo, poi in seguito ad un biglietto scritto da me coll’ultimo sforzo mi venne l’ordine di rientrare, te lo accludo mettilo fra i ricordi più cari. Rinvenni stamani nella mia catapecchia, già superata in altezza dalla neve. Mi feci disseppellire. Eccomi ancora tuo.
Si ringrazia il Gruppo L'Espresso e l'Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano
DAL FRONTE
Le persistenti intemperie ostacolarono l'azione delle artiglierie.
L'attività delle fanterie diede luogo a piccoli scontri in Valle Giumella (Valle di Ledro), nella zona di Cima di Cupola (Alto Vanoi) ed alla testata del Chiarzo (Carnia).
Nel settore settentrionale del Carso rettificammo avanzando qualche tratto della fronte.
Prendemmo una trentina di prigionieri.
Firmato: CADORNA