I PERSONAGGI DELLA GRANDE GUERRA

Eric Muenter

Ok, diamo per buone le stime del 1915: negli Stati Uniti vivono circa 15 milioni tra tedeschi  e cittadini di origine tedesca; mi sembrano abbastanza, il “matto”, lì in mezzo, prima o poi lo peschi. In Europa la Grande Guerra infuria da quasi un anno ed è ben lontana da una soluzione. Il Governo americano continua a essere neutrale a parole, un po’ meno nei fatti; siamo sempre nella patria del “business is business”. Nella tarda serata del primo luglio, è quasi la mezzanotte di un tranquillo fine settimana, una violenta esplosione sconquassa il Campidoglio; non ci sono feriti.

In prima battuta si pensa a un incidente, a una fuga di gas, ma alcuni funzionari non ne sembrano convinti. Quello è il Senato degli Stati Uniti, si deve indagare su ogni pista. L’orario è strano per far pensare a un attentato, sono tutti in vacanza, non c’era nessuno in giro in quei giorni e men che meno a quell’ora, ma l’ipotesi resta in piedi. E inizia a camminare già dal giorno seguente. Al Washington Times è stata recapitata una lettera: proviene da New Orleans ed è firmata R. Pearce; l’autore la definisce “Il punto esclamativo al mio appello per la pace”.

Di fatto è la rivendicazione dell’attentato dinamitardo al Senato, il movente è soprattutto il commercio d’armi con l’Intesa e la finta neutralità americana.

Sorge subito un problema: R. Pearce è ovviamente un nome falso e comunque non si trova più né a New Orleans, né a Washington. Le indagini proseguono, ma non serviranno a niente, perché è uno di quei casi dove il risultato viene da sé. Il 3 luglio, sono passate da poco le nove di mattina, J.P. Morgan jr. sta facendo colazione nella sua residenza estiva di Glen Cove, Long Island. Con lui c’è Cecil Spring-Rice. Chi sono? Il primo è padrone di uno sconfinato impero finanziario, è il banchiere più influente d’America; l’altro è l’Ambasciatore britannico negli Stati Uniti. Morgan ha da poco siglato un accordo finanziario con Londra: un ingente prestito, da poter utilizzare immaginate come.

All’improvviso succede qualcosa all’uscio di casa, Morgan va a vedere e partono due revolverate. Il banchiere è a terra, ferito, ma l’aggressore non può far altro. Un robusto vaso di bronzo è in rotta di collisione con il suo cranio; a scagliarlo è stato il maggiordomo, per una volta eroe e non carnefice. L’improvvisato assassino viene neutralizzato e arrestato e la questione promette di durare parecchi anni. Confessa anche l’attentato dinamitardo al Senato e dichiara di chiamarsi Frank Holt; è un altro nome falso, come R. Pearce. In realtà si chiama Eric Muenter, è un tedesco emigrato negli Stati Uniti e uno stimato professore universitario. Quando il giorno dopo viene interrogato dalla polizia prova a giustificarsi, ma non proferisce la più geniale delle arringhe: “Non volevo assassinare Morgan, ma solo prendere in ostaggio lui e tutta la sua famiglia. Sentivo il dovere di convincere mister Morgan a porre fine alla guerra”. Il punto, però, è un altro: nella delirante dichiarazione, pare sia uscito persino un “Me l’ha detto Dio”, c’è di più: Muenter parla di altri attentati, li annuncia. E intanto al quartier generale della polizia newyorkese esplode una seconda bomba. Ancora una volta non ci sono feriti; a Muenter interessa il gesto in sé, il “rumore” giusto per esortare gli Stati Uniti a una “vera neutralità”. Lo ribadisce in un’altra lettera, scritta in cella e spedita al New York Tribune. Si rivolge anche alla sua famiglia e si professa un buon cristiano. Il 6 luglio 1915 si suicida in prigione; il 7 luglio esplode una terza bomba a bordo della nave cargo Minnehaha, trasportava munizioni per l’Intesa.

Ma da dove è saltato fuori questo Muenter? Bella domanda. E qui la storia si complica, anche perché qualche guaio con la giustizia l’aveva già avuto, ha girato mezza America, ha cambiato vita e ne ha dato le versioni più originali. Sembra sia arrivato negli States nel 1890, ma lui raccontava di essere nativo del Texas o del Wisconsin, figlio di migranti tedeschi o finlandesi, tutto a seconda dell’umore. Quel che è certo è la sua disarmante facilità nelle lingue. Nel 1899 si laurea a Chicago e ben presto inizia una carriera da docente. Da qui entriamo in un crescendo di frammenti.
Lo ritroviamo nel 1903 a Kansas State University, dove tiene dei corsi di lingua e soprattutto dove scrive “Pazzia e letteratura”; più che un saggio pare una profezia, una dichiarazione d’intenti.
Un anno dopo approda a Cambridge. Insegna tedesco ad Harvard, ma qualcosa sta per andare storto. Nel 1906 avvelena la moglie con l’arsenico, tenta di simulare una morte naturale, ma la polizia lo sospetta e lui fugge. Sale in macchina con i due figli e una taglia sulla testa di 1.000 dollari, ma non è tutto: porta con sé anche il cadavere. A Chicago prova a far cremare il corpo, ma non gli va bene neanche qui: ne viene ordinata l’autopsia. Ormai Muenter è fregato: lascia i figli dalla zia e scappa in Messico, dove ricomincia una nuova vita come Frank Holt e si risposa.
Oh, il Messico però non deve piacergli molto, quindi decide di tornare negli USA e di ricominciare tutto daccapo. Vuole ricostruirsi una carriera, ma per farlo deve laurearsi una seconda volta in lingue, con il suo nuovo alias: obbiettivo raggiunto nel 1909. E da qui è “altro giro, altra corsa”. Passa per l’Oklahoma e il Tennessee, fino a stabilirsi nel 1913 a Ithaca, assunto dalla Cornell University. Il mondo è alla vigilia della guerra e lui è a due passi dagli attentati del 1915.

Davide Sartori