I PERSONAGGI DELLA GRANDE GUERRA

Gabriele D’Annunzio

Un esteta raffinato, un individualista vizioso e un esaltato nazionalista; un’immortale abilità espressiva e un ego sconfinato, oceanico. In due parole: Gabriele D’Annunzio.
Sul finire del 1880 finge la sua morte per lanciare la seconda edizione di Primo vere. Scontato il successo dell’operazione. Tra l’apparire e l’essere meglio scegliere il primo.
Quando il ‘900 si avvia dall’infanzia all’adolescenza D’Annunzio è ancora l’equivalente di una moderna pop-star. E proprio come una vera pop-star si premura di essere sempre al centro della vita mondana, quasi un obbligo per ogni istrione.
Per tutti è “il Vate”, un modello da seguire o idolatrare. Del resto chi non vorrebbe essere al suo posto? Talento, una vita sregolata e un’abbondante e disinvolta inclinazione verso i debiti e il gentil sesso. Già, i debiti. Nel 1910, indispettito dall’atmosfera nostrana, fa le valigie e s’impone un “esilio volontario” in Francia; in realtà fugge dai creditori, ma detta così non suona altrettanto bene. I maligni dicono che sia stata la monarchia a risolvere, almeno in parte, le questioni in sospeso.


Torna in Italia nel 1915, senza per altro aver mai smesso di esprimere la propria opinione. Interventista a oltranza, è soggiogato dalla guerra, ne è affascinato. Fosse per lui la vita sarebbe un continuo susseguirsi di avventure omeriche.
Nietzsche non l’ha lasciato indifferente, il “superomismo” è l’humus ideale per il suo spirito dionisiaco. Crede di appartenere a una ristretta élite, un’aristocrazia; disprezza il “popolino”, la “plebe” e gran parte dei suoi valori, democrazia compresa.
E’ convinto della supremazia culturale latina e percepisce il conflitto mondiale come la migliore opportunità di far rivivere il mito imperialista romano.
Ambizioso a prescindere, partecipa alla guerra con entusiasmo. Vuole essere un eroe e probabilmente si considera tale. Sarà protagonista di imprese appariscenti, seppur poco determinanti: tra le altre la “beffa di Buccari” e il volo su Vienna.
La fuoriclasse delle peripezie d’annunziane resta l’occupazione di Fiume nel 1919: vano tentativo di sovvertire gli accordi di pace, di vendicare la “vittoria mutilata” e di restituire all’Italia la presunta integrità territoriale.